Emilia-Romagna
Rischio sismico
Quadro generale


I forti terremoti[1] hanno sempre pesanti ricadute sulle attività e lo sviluppo del territorio. Ancora oggi, si veda l’esperienza di L’Aquila, nel 2009, e dell’Emilia, nel 2012 (Galli e Camassi, 2009; Galli et al., 2012; QUEST, 2012; RER, 2017), oltre ai danni ingentissimi in termini di persone coinvolte, perdita di vite umane e numero di feriti, danni agli edifici, ai beni artistici e alle attività produttive, bisogna considerare che il periodo necessario per la ricostruzione e il ritorno alla vita normale è di almeno 5 anni.
Inoltre, in un territorio intensamente urbanizzato, come ad esempio la Pianura Padana, si possono avere importanti conseguenze anche in caso di terremoti di moderata energia, come ad esempio quelli di Parma del 1983 (Mw = 5,04), di Correggio (RE) del 1996 (Mw = 5,38), del parmense-reggiano del 2008 (Mw = 5,36) e la lunga sequenza sismica di Faenza-Forlì della primavera del 2000 (Mwmax=4,82), che hanno comunque causato feriti, l’interruzione, più o meno prolungata, delle attività sociali e produttive e forte apprensione nella popolazione.
Le attuali conoscenze permettono di sapere dove e con che modalità avverrà un terremoto ma non, con la necessaria attendibilità, quando. La previsione dei terremoti non è quindi un traguardo conseguibile in tempi brevi. La riduzione del rischio sismico va dunque affrontata dal punto di vista della prevenzione.
Per comprendere, prevenire e mitigare il rischio sismico occorre analizzarlo in tutte le sue componenti. 

I terremoti
Il terremoto è un’improvvisa oscillazione del terreno che si genera quando nel sottosuolo, sottoposto a stress, si verifica una rottura (figura A). La zona del sottosuolo in cui avviene la rottura e l’improvviso scorrimento è detta faglia (figura B).
La parte più esterna della Terra, detta litosfera[2], è costituita da varie placche tettoniche, dette anche zolle tettoniche (figura C). Le placche si muovono e scorrono tra loro a causa dei moti convettivi nel mantello. Gli scorrimenti tra le placche generano campi di stress che deformano soprattutto le zone di margine, provocando terremoti (figura D). E’ dunque lungo i margini delle placche che si concentrano i terremoti.

Rischio sismico
Il rischio sismico, che può essere anche quantificato in termini di costi a seguito dei danni e delle conseguenze attese, dipende dalle seguenti variabili:

  • pericolosità sismica, risultante a sua volta dalla combinazione della pericolosità sismica di base, ovvero la sismicità, e della pericolosità locale, ovvero le condizioni geologiche dell’area che possono modificare la trasmissione delle onde nel sottosuolo;
  • vulnerabilità, cioè la qualità, e quindi la resistenza, delle costruzioni;
  • esposizione, vale a dire la distribuzione della popolazione, dei centri abitati e dei beni economici, artistici e culturali;
  • resilienza, ovvero la capacità di reazione della comunità all’evento in termini di ripresa delle attività produttive e sociali.

Analisi storiche e osservazioni degli effetti dei terremoti recenti indicano che la componente maggiormente responsabile dell’entità e diffusione dei danni è la vulnerabilità delle costruzioni; anche la capacità di reazione alla catastrofe (resilienza) è fortemente condizionata dalla qualità delle costruzioni: a fronte di un terremoto di modesta energia, un’elevata vulnerabilità delle costruzioni può comportare danni diffusi e, conseguentemente, un lungo periodo per la ripresa delle attività e il ritorno alla normalità.
In sintesi, anche territori con pericolosità non particolarmente elevata ma, come l’Emilia-Romagna, caratterizzati da un’alta concentrazione di centri abitati, attività produttive, beni culturali e artistici, vista l’elevata vulnerabilità dei centri storici e degli edifici costruiti prima dell’entrata in vigore delle norme antisismiche, risultano ad alto rischio sismico.
Politiche di prevenzione sono facilmente applicabili in caso di nuovi interventi mentre la loro applicazione è ben più complessa in caso di costruzioni e centri urbani esistenti. Uno dei principali ostacoli è costituito dalla difficoltà di valutare, a scala territoriale e con procedure speditive, tutte le componenti del rischio sismico. Oggi sono disponibili numerosi dati e procedure condivise per definire la pericolosità sismica e l’esposizione di un territorio; è invece ben più difficile la valutazione della vulnerabilità di centri urbani e reti infrastrutturali. E’ necessario che nel prossimo futuro gli sforzi si concentrino soprattutto sulla definizione di procedure che permettano una stima rapida e affidabile della vulnerabilità a scala di area vasta e urbana, allo scopo di giungere a una stima del rischio sismico attendibile e utile già in fase di programmazione territoriale e pianificazione urbanistica.

Pericolosità sismica
Il territorio dell’Emilia-Romagna è costituito per metà dai rilievi dell’Appennino settentrionale e per l’altra metà dalla Pianura Padana e dalla costa adriatica a sud del Po.
La frequente sismicità indica che il processo di strutturazione di questo territorio è ancora attivo. L’Emilia-Romagna è infatti soggetta ad una sismicità frequente e talora rilevante, sebbene meno elevata rispetto ad altre aree del territorio nazionale, con terremoti di magnitudo[3] stimata che hanno raggiunto e superato il valore di 6 e hanno causato effetti fino al IX÷X grado di intensità[4] della scala Mercalli-Cancagni-Sieberg (Rovida et al., 2016; Locati et al., 2016).
Le condizioni geologiche possono modificare il moto sismico in superficie. Terreni poco consolidati, come le coltri detritiche di versante, i sedimenti recenti alluvionali e costieri, e alcune forme del paesaggio, quali dorsali, cocuzzoli, versanti acclivi, possono modificare la frequenza, l’ampiezza e la durata del moto sismico, aumentandone gli effetti (di particolare interesse il fenomeno dell’amplificazione), e contribuire al manifestarsi di fenomeni di instabilità che producono modificazioni permanenti del territorio (es. frane, crolli di roccia, liquefazione, rotture del terreno, etc).
In sintesi la pericolosità sismica può essere a sua volta scomposta in due componenti:

  • la pericolosità sismica di base, data dalla sismicità dell’area, ovvero dalla frequenza ed energia dei terremoti e dalla distanza dalle sorgenti sismogenetiche;
  • la pericolosità sismica locale, che dipende da quelle condizioni geologiche e morfologiche locali, già indicate sopra, che possono modificare la frequenza, l’ampiezza e la durata del moto sismico in superficie, aumentandone gli effetti; in particolare, forti scuotimenti possono innescare o riattivare fenomeni di instabilità, quali frane, liquefazioni, densificazioni, fagliazioni, che producono modificazioni permanenti del territorio tipo rotture del terreno, cedimenti e spostamenti; le modificazioni del moto sismico dovute alle condizioni geologiche e morfologiche sono denominate “effetti locali”.

La pericolosità sismica è un aspetto che condiziona fortemente la gestione del territorio in tutte le sue fasi: l’analisi della pericolosità sismica è richiesta per la stima delle sollecitazioni sismiche attese a fini di programmazione territoriale e pianificazione urbanistica, per le attività di prevenzione e piani di protezione civile, per il superamento delle emergenze, per la progettazione e realizzazione, nonché manutenzione, delle costruzioni, sia ordinarie che strategiche, e delle grandi opere.

 

 

 

[1] Terremoto: oscillazione del terreno provocata da un’improvvisa rottura nel sottosuolo (figura A); è detto anche sisma o scossa tellurica; la superficie lungo la quale avviene il rapido scorrimento che genera il terremoto è detta faglia.

Faglia: frattura della roccia lungo la quale si ha lo scorrimento relativo dei blocchi; una faglia si genera quando lo stress a cui è sottoposta la roccia supera il limite di rottura della roccia stessa; se lo scorrimento dei due blocchi produce un raccorciamento rispetto alle condizioni precedenti la rottura, la faglia si definisce inversa o sovrascorrimento, se invece produce un’estensione, la faglia si definisce diretta o normale o estensionale; se lo scorrimento relativo dei due blocchi è orizzontale, la faglia si definisce trascorrente (figura B).  

[2] Litosfera: parte esterna della Terra costituita dalla crosta terrestre e dalla parte più superficiale e rigida del mantello; è nella litosfera che si concentra la maggior parte dei terremoti.

[3] Magnitudo: parametro utilizzato per esprimere la grandezza di un terremoto in termini di energia rilasciata; esistono diverse scale di magnitudo, la maggior parte delle quali basate sul logaritmo dell'ampiezza delle onde sismiche o sulla durata dell'evento sismico; le scale di magnitudo più comuni sono la scala Richter, o magnitudo locale (ML), e la scala della magnitudo del momento sismico, o magnitudo momento (MW).

[4] Intensità: misura degli effetti che un terremoto ha prodotto sulle persone, sulle costruzioni e sull'ambiente dell’area colpita; le scale di intensità più comuni sono la Mercalli-Cancagni-Sieberg (MCS) e la Scala Macrosismica Europea (EMS-98).

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