I terreni di maggiore interesse per l’amplificazione del moto sismico sono quelli più superficiali, caratterizzati da una bassa velocità di propagazione delle onde sismiche di taglio (VS), indicativamente molto inferiore a 800 m/s[1], e spessore di almeno 3 m. Si tratta in genere di detriti di versante poco o per nulla cementati, sedimenti alluvionali e costieri sciolti o poco addensati, argille e limi poco consolidati, generalmente molto recenti (per lo più di età minore di 10.000 anni). L’aumento del moto sismico dovuto alle caratteristiche del sottosuolo è detto “amplificazione stratigrafica”.
L’amplificazione per cause topografiche si verifica in genere nelle parti alte dei rilievi con acclività maggiore di 15°÷20° e dislivello maggiore di 30 m. Tale conformazione può determinare particolari interazioni delle onde con la superficie (ad es. focalizzazione) che causano modificazioni del moto sismico in superficie. Le forme che più comunemente alterano il moto sismico sono le creste e le dorsali allungate, i picchi e cocuzzoli, le scarpate alte.
L’analisi della pericolosità sismica locale consiste quindi nell’identificazione delle condizioni geologiche e morfologiche che possono determinare effetti locali e nella valutazione dell’amplificazione. In presenza di particolari criticità (frane, terreni liquefacibili, sedimenti soffici, etc) vengono stimati anche gli indici di instabilità dei terreni e gli eventuali cedimenti e spostamenti attesi.
Le principali condizioni geologiche e morfologiche che possono determinare effetti locali in Emilia-Romagna sono indicate nell’Allegato A1 degli indirizzi regionali per microzonazione sismica (DAL 112/2007; DGR 2193/2015). Tali condizioni sono presenti in circa il 75% del territorio regionale (figura 1).
Tale percentuale sale a oltre il 90% se si considerano i soli territori di interesse urbanistico, vale a dire le aree urbanizzate e quelle di potenziale espansione; è infatti ovvio che l’urbanizzazione si è realizzata e si realizza soprattutto nelle aree più facilmente accessibili, vale a dire nelle pianure, lungo la costa, nei fondivalle e sui versanti meno acclivi, ovvero proprio nei territori più esposti agli effetti locali. Le aree stabili e non suscettibili di amplificazione sono le zone di affioramenti rocciosi, presenti per lo più solo nelle zone di montagna e che spesso, per motivi di accessibilità e assenza di reti infrastrutturali o per scelte di salvaguardia del territorio, non sono considerate “urbanizzabili”.
La pericolosità sismica locale deve essere definita e stimata anche per calcolare l’azione sismica da considerare nella progettazione di nuove costruzioni o di interventi di miglioramento e adeguamento sismico delle costruzioni esistenti. Le procedure di calcolo sono descritte nelle norme tecniche per le costruzioni. Ogni intervento deve essere progettato, cioè dimensionato, in base all’azione sismica attesa la quale dipende, oltre che dalle caratteristiche sismogeniche e geologiche locali, anche dall’importanza dell’opera e dal livello di sicurezza che si vuole raggiungere (Stati Limite di Esercizio: di operatività, SLO, o di danno, SLD; Stati Limite Ultimi: di salvaguardia della vita, SLV, o di collasso, SLC). Maggiore è l’importanza dell’opera[2] maggiori sono i coefficienti di sicurezza da applicare nel calcolo dell’azione sismica e il periodo di ritorno TR[3] da considerare per la stima della pericolosità sismica di base; aumentare il periodo di ritorno equivale a considerare un terremoto più gravoso (vedi anche “Pericolosità sismica di base”).
Sulla base di rilievi geologici, indagini geotecniche e geofisiche e analisi RSL (Risposta Sismica Locale) è possibile individuare e perimetrare le zone suscettibili di effetti locali e suddividere il territorio in zone a diverso comportamento in caso di terremoto, al cui interno la risposta sismica locale possa essere considerata omogenea. Tale analisi è denominata “microzonazione sismica”.
[1] Un terreno con Vs≥800 m/s si comporta rigidamente ed è perciò considerato bedrock sismico.
[2] Secondo le vigenti norme tecniche per le costruzioni (D.M. 14/1/2008), le costruzioni sono suddivise nelle seguenti classi d’uso:
- Classe I: Costruzioni con presenza solo occasionale di persone, edifici agricoli.
- Classe II: Costruzioni il cui uso preveda normali affollamenti, senza contenuti pericolosi per l’ambiente e senza funzioni pubbliche e sociali essenziali. Industrie con attività non pericolose per l’ambiente. Ponti, opere infrastrutturali, reti viarie non ricadenti in Classe d’uso III o in Classe d’uso IV, reti ferroviarie la cui interruzione non provochi situazioni di emergenza. Dighe il cui collasso non provochi conseguenze rilevanti.
- Classe III: Costruzioni il cui uso preveda affollamenti significativi. Industrie con attività pericolose per l’ambiente. Reti viarie extraurbane non ricadenti in Classe d’uso IV. Ponti e reti ferroviarie la cui interruzione provochi situazioni di emergenza. Dighe rilevanti per le conseguenze di un loro eventuale collasso.
- Classe IV: Costruzioni con funzioni pubbliche o strategiche importanti, anche con riferimento alla gestione della protezione civile in caso di calamità. Industrie con attività particolarmente pericolose per l’ambiente. Reti viarie di tipo A o B, di cui al D.M. 5 novembre 2001, n. 6792, “Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade”, e di tipo C quando appartenenti ad itinerari di collegamento tra capoluoghi di provincia non altresì serviti da strade di tipo A o B. Ponti e reti ferroviarie di importanza critica per il mantenimento delle vie di comunicazione, particolarmente dopo un evento sismico. Dighe connesse al funzionamento di acquedotti e a impianti di produzione di energia elettrica.
[3] Tempo di ritorno (Tr): tempo medio di attesa tra il verificarsi di due eventi (in questo caso terremoti) successivi.