Dal punto di vista della distribuzione territoriale (figure 2 e 4), per effetto dei crescenti apporti inquinanti, le concentrazioni di fosforo nelle acque tendono ad aumentare da monte verso valle; ciò accade principalmente nei bacini dove incidono fonti di pressione puntuale rilevanti rispetto alla portata del corso d’acqua recettore, come in alcuni torrenti minori o nei principali canali artificiali di pianura, che appaiono maggiormente impattati.
Nella maggior parte dei bacini regionali (figura 5), tuttavia, si osserva che la soglia obiettivo di “buono” per il fosforo, ricavata dall’indice LIMeco (0,10 mg/l), nel 2023, è quasi sempre rispettata sia nelle stazioni di bacino pedemontano, sia nelle stazioni di pianura (figura 1), come accade per Bardonezza, Tidone, Trebbia, Nure, Taro, Reno, Lamone, Fiumi Uniti, Savio, Uso, Marano e Conca, che presentano, anche in chiusura idrografica, un livello di fosforo “buono” o, in alcuni casi, perfino “elevato”. Le situazioni di grave criticità, legate al superamento della quinta soglia di 0,40 mg/l, sono limitate a poche chiusure di bacino, quali Cornaiola, Sissa Abate, Crostolo, Rubicone e Marecchia, aste con assenza di veri bacini montani e quindi con deflussi idrici estremamente esigui. Rispetto al singolo macrodescrittore fosforo totale, la classificazione delle acque in chiusura di bacino idrografico (figura 3) mostra che 9% rientra nel Livello 1, il 26% nel Livello 2, il 32% nel Livello 3, il 18% nel Livello 4 e il 15% nel Livello 5 (cattivo), da cui deriva che, rispetto alla concentrazione di fosforo totale, il 35% dei bacini idrografici regionali raggiunge l’obiettivo di qualità “buono”.