Il monitoraggio delle acque superficiali in Emilia-Romagna è attivo dal 2009, prima ai sensi del DLgs 152/99, quindi, a partire dal 2010, ai sensi della Direttiva 2000/60/CE, che si configura come una legge quadro per le acque (Water Framework Directive). Tale Direttiva è stata recepita dall’Italia con il DLgs 152/06 seguito dal decreto attuativo DM 260/10 che riporta i criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici.
Nel 2013 viene emanata una nuova Direttiva, a modifica della 2000/60/CE, a tema sostanze prioritarie, la 2013/39/CE, recepita in Italia, dopo due anni dall’emanazione con il DLgs 172/15, tale ritardo è stato oggetto, per il nostro paese, di procedura d’infrazione.
L’Art.1 della Direttiva chiarisce subito quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere:
- prevenire l’ulteriore deterioramento, proteggere e migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici e delle zone umide associate;
- promuovere un utilizzo sostenibile dell’acqua basato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili;
- assicurare la progressiva riduzione dell’inquinamento delle acque sotterranee e prevenire il loro ulteriore inquinamento;
- contribuire a mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità.
La Direttiva introduce due significativi cambiamenti riguardo la gestione degli ambienti acquatici:
1) la definizione di obiettivi ecologici per proteggere e risanare la struttura e la funzione degli ecosistemi acquatici e, di conseguenza, salvaguardare l’uso sostenibile delle risorse idriche, a differenza delle precedenti legislazioni europee che miravano a proteggere particolari usi dell’ambiente acquatico dagli effetti dell’inquinamento;
2) un nuovo modello per la gestione integrata delle acque sotterranee, fiumi, canali, laghi, bacini artificiali, acque di transizione e marino costiere, definiti ora come Distretti Idrografici.
Per ciascun distretto idrografico è prevista la predisposizione di un Piano di Gestione (PdG), cioè di uno strumento conoscitivo, strategico e operativo attraverso cui pianificare, attuare e monitorare le misure per la protezione, risanamento e miglioramento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, favorendo il raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti dalla Direttiva. Obbligo per i paesi membri era il raggiungimento, e il successivo mantenimento, al 2015 (data ora posticipata al 2027), per tutti i corpi idrici, dello stato “buono” e la garanzia del mantenimento dello stato “elevato” per i corpi Idrici già in possesso di questo stato.
I materiali elaborati per l’individuazione dei corpi idrici, comprensivi di cartografia, sintesi delle metodologie adottate e risultati conseguiti, erano stati formalmente deliberati dalla Regione Emilia-Romagna (DGR 350/2010) e sono diventati parte integrante nei primi cicli dei PdG 2010-2015.
In data febbraio 2010 è stato adottato il primo Piano di Gestione del distretto idrografico del fiume Po (PdGPo), sostanzialmente aggiornamento con il successivo Piano di Gestione 2015. Questo secondo Piano fornisce una prima analisi del recente DLgs 172/2015, che recepisce la direttiva 2013/39/UE e che riguarda i monitoraggi delle sostanze prioritarie e la classificazione dello stato chimico dei corpi idrici.
In data 21 dicembre 2018 è stato avviato il processo di aggiornamento del nuovo Piano di Gestione del Distretto Idrografico del fiume Po, che terminerà, dopo 3 anni, a dicembre 2021.
La Direttiva Quadro apporta una profonda innovazione in ambito di controllo ambientale dei corsi d’acqua superficiali, valutandoli come ecosistemi, e individuando tutte le possibili alterazioni indotte dalle attività antropiche, attraverso lo studio della loro integrità ecologica rappresentata, quest’ultima, dall’integrità biologica, chimica e fisica. L’integrità biologica di un ecosistema è la sua capacità di sostenere una comunità biologica ricca e bilanciata in composizione e organizzazione funzionale, che presenti diversità e tolleranza, i principi cioè che la Direttiva richiede nella valutazione degli indici di qualità ricavati dallo studio delle comunità biologiche. Le comunità biologiche sono rappresentate da produttori, fitobentos fitoplancton e macrofite, e consumatori, come macroinvertebrati bentonici e popolazione ittica. Ognuna di queste comunità produce risposte a pressioni diverse.
Gli esiti dei monitoraggi biologici sono espressi attraverso un rapporto ricavato dal confronto tra i valori espressi dalle comunità presenti in ambienti inalterati (siti di riferimento) e quelli ricavati dall’ambiente in osservazione. La classificazione dello stato del corpo idrico è data dall’integrazione dello stato ecologico (monitoraggio biologico, parametri chimico-fisici e inquinanti specifici), con lo stato chimico derivante dalla presenza di sostanze prioritarie.
Per quanto riguarda le analisi dei parametri chimici, i protocolli analitici sono rivisti e aggiornati in funzione dei risultati ottenuti, della dimostrata presenza/assenza di specifici gruppi di sostanze e dello studio delle pressioni; è possibile applicare una riduzione delle frequenze di campionamento in relazione ai diversi livelli di criticità evidenziati.
Il DM 260/2010, aggiornato dal DLgs 172/2015, che introduce nuovi microinquinanti, oltre alla matrice biota, prevede un ampio ventaglio di inquinanti, fitofarmaci e altri microinquinanti organici e inorganici, da monitorare con standard di qualità estremamente bassi, che richiedono, per garantire il rispetto delle prestazioni minime richieste, un'attività analitica molto complessa e onerosa.
Per ottimizzare, quindi, il monitoraggio chimico, sono stati condotti approfondimenti per valutare quali inquinanti chimici sia opportuno ricercare sul territorio regionale, a partire dalle informazioni disponibili in termini di dati di qualità pregressi e di analisi delle pressioni incidenti sul corpo idrico sotteso dalla stazione.
Analisi condotte a livello di bacino idrografico permettono di effettuare alcune considerazioni; ad esempio, se in chiusura di bacino montano non è stata riscontrata presenza di sostanze chimiche prioritarie, è ragionevole estendere il concetto ai corpi idrici afferenti al bacino sotteso dalla stazione, soprattutto se situati in contesti montani e/o poco antropizzati.
Pertanto, si è mantenuto un controllo capillare per gli inquinanti che possono dare luogo a inquinamento diffuso (fitofarmaci, metalli pesanti, composti organo alogenati, IPA), mentre per altri microinquinanti organici sono state condotte valutazioni costi/benefici, prendendo in esame pressioni possibili, casistica di impiego e impegno analitico; sono state quindi scelte specifiche stazioni di monitoraggio situate in chiusura di bacino e dei principali sottobacini, in particolare, ad esempio, per cloroalcani, difeniletere bromato (PBDE), nonil/ottil fenolo, cloroaniline, clorobenzeni, cloronitrotolueni e clorofenoli (sorgenti puntuali).
Già dopo il primo ciclo di monitoraggio, sulla base degli esiti dello stesso, è stato possibile rivedere i protocolli analitici e le frequenze di monitoraggio, con programmi sempre più mirati.
Anche per quanto riguarda i fitofarmaci, la scelta dei principi attivi da ricercare si basa sul potenziale rischio di contaminazione delle acque; la valutazione dei dati del monitoraggio, condotto in un arco di tempo significativo, può dare indicazioni riguardo alla maggiore o minore ricorrenza delle sostanze attive nelle acque e, unitamente all’analisi di altri indici, quali ad esempio l’indice di priorità e le caratteristiche fisico-chimiche della sostanza attiva, orientare la scelta del protocollo analitico da applicare.